Solitamente il Pranayama e la Meditazione ci riportano l’immagine di un praticante in posizione seduta (a volte anche in Padmasana, la posizione del Loto) che resta stoicamente nell’immobilità per lungo tempo. Tutto ciò è possibile, ma non da subito.
In ogni lezione di yoga non dovrebbe mai mancare una parte dedicata al Pranayama e per esperienza personale come allieva e da tempo anche come insegnante, se la posizione non è comoda il momento dedicato alla respirazione diventa fastidioso e poiché le emozioni influenzano il respiro, è possibile che non si riesca ad entrare in profondità nella pratica.
Soprattutto nelle classi per principianti utilizzo quindi la posizione dove ci si porta sdraiati a terra con le ginocchia flesse e le piante dei piedi appoggiate al tappetino (per chi vuole, ginocchia a contatto e piante dei piedi ben separate). Utilizzando questa posizione la schiena può riposare e così anche le gambe ed è più facile portare l’attenzione solo al respiro.
Si inizia con Apa Japa, la semplice osservazione del respiro naturale cercando di lasciare che il corpo si accomodi al meglio e la mente si focalizzi piano piano su ciò che sta accadendo senza dover modificare nulla.
Apa Japa è l’inizio necessario per ogni pratica dedicata al respiro, è quel tempo che può variare a nostro piacere (consiglio almeno 5 minuti) per far sì che il corpo si rilassi, la mente si centri e si abbia la possibilità di osservare dove è localizzato il respiro, la sua profondità, il ritmo e la lunghezza.
L’unico obiettivo di questa fase iniziale è raccogliere informazioni sullo stato del respiro senza dover pensare a come respirare.
Mentre si osserva il respiro è importante lasciare che tutto semplicemente accada, inspirando possiamo notare che l’aria che passa attraverso le narici è fresca, quella che esce con l’espirazione è leggermente riscaldata. All’inizio, se il respiro è molto bloccato, si può inspirare con il naso ed espirare con la bocca.
Premesso che questa fase iniziale può essere prolungata e se il respiro è particolarmente bloccato utilizzata come unica pratica, passiamo ora al momento successivo, quello in cui iniziamo a guidare il respiro in un punto particolare del corpo, lo portiamo nell’addome.
Le mani si appoggiano sull’ombelico, le braccia si rilassano, gli occhi sono chiusi.
Normalmente suggerisco di visualizzare l’ombelico e immaginarlo come se fosse un galleggiante colorato che sale leggermente (e lo sento premere contro le mani) ad ogni inspirazione, e affonda un po’ nell’acqua ad ogni espirazione.
Ascolto il respiro, sento cosa accade sotto le mani e se aumento la consapevolezza del corpo, posso anche percepire il movimento che fa il bacino: la parte bassa della schiena si inarca inspirando e si appoggia meglio a terra espirando.
Restare sdraiati comodamente a terra e portare il respiro in profondità nell’addome senza forzare, ci regala un’esperienza rilassante che massaggia gli organi interni e rilassa tutti i muscoli dell’addome.
E’ un timido approccio in cui iniziamo a “fare amicizia” con il Pranayama.

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